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PERMESSO DI SOGGIORNO DI UN FAMILIARE EXTRACOMUNITARIO.

Recentemente la Suprema Corte si è espressa riguardo al diritto di soggiorno permanente del familiare non avente cittadinanza in uno stato membro.

La Cassazione ha stabilito che il Giudice Ordinario può riconoscere il diritto all’ottenimento del permesso di soggiorno permanente del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro anche in assenza di apposita richiesta amministrativa, qualora il ricorrente soddisfi i requisiti previsti dalla normativa, affermando la prevalenza del diritto fondamentale e autodeterminato del soggiorno rispetto ai formalismi procedurali (Ordinanza n. 12450 dell’11/05/2025).

Secondo il D. Lgs n. 30/2007 per familiare deve intendersi: 1) il coniuge; 2 ) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata …, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; 3 ) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); 4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b).

Inoltre, “il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell’Unione” (ai sensi dell’art. 14, comma 2 del D. Lgs. n. 30/2007).

In caso di diniego del riconoscimento del diritto di soggiorno permanente, l’interessato può proporre ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria competente per territorio, applicando il rito del processo civile semplificato e senza l’applicazione dei termini decadenziali di 30 giorni, né per analogia di 60 giorni previsti per l’impugnazione innanzi alla G.A. dei provvedimenti amministrativi.

La Cassazione ha chiarito che non si tratta di un giudizio di tipo impugnatorio di atto amministrativo ma di una domanda di accertamento di diritto soggettivo all’ottenimento da parte del familiare di un titolo di soggiorno permanente (ai sensi degli artt. da 14 a 17 del d.lgs. n. 30 del 2007) o, in via subordinata, di un permesso di soggiorno (per motivi familiari, ex art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998), che non è soggetta a termini processuali di decadenza, non previsti né dall’art.16 del D. lgs n. 30/2007, né dall’art.20 del d.lgs. n. 150 del 2011 per il Rito Civile semplificato.

Gli ermellini hanno cassato con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari stabilendo il suesteso principio al quale attenersi nello scrutinio che ne dovrà seguire in merito alla sussistenza dei requisiti soggettivi, oggettivi e di tempo richiesti dalla normativa.

Rammentiamo che vale un principio generale di favorire la coesione familiare effettiva e non surrettizia: “nel giudizio di impugnazione avverso il diniego di rilascio per mancata allegazione di documentazione ufficiale, attestante la convivenza tra il familiare richiedente il permesso e il cittadino italiano, il diritto soggettivo al soggiorno può essere accertato dal giudice ordinario anche mediante la prova testimoniale, che dimostri, in modo serio e rigoroso, la convivenza ed il legame familiare esistente” (Cass. Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 24/04/2024, n. 11033).

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Avv. Fabio Corradi