Un caso particolarmente interessante riguarda un riconoscimento di paternità postumo chiesto da una signora nei confronti del presunto padre, defunto da oltre dieci anni e successiva eredità legittima.
La continua evoluzione della tecnica di ricerca del DNA permette infatti di accertare in maniera sempre più precisa ed incontrovertibile le evidenze processuali riguardo alla paternità che un tempo venivano facilmente negate e che oggi vengono accertate con un margine di certezza pari al 99,9 %.
Un giorno la signora Guendalina Bianchi (nome di fantasia, ovviamente) si reca presso il nostro studio raccontando di essere figlia del sig. Remo Rossi, morto da oltre 10 anni e sepolto nel cimitero di un comunello delle nostre belle colline.
Racconta che la madre Nevia Bianchi all’età giovane e bella minorenne (rammentando che un tempo la maggiore età si raggiungeva al ventunesimo anno di età) aveva intrattenuto una breve relazione clandestina con un baldo giovanotto di buona famiglia del paese dalla quale era nata Guendalina mai riconosciuta dal padre Rossi all’epoca maggiorenne.
Ne era seguito un procedimento penale intentato dalla ricca famiglia del sig. Rossi per calunnia (in quanto, trattandosi di minorenne, si sarebbe potuto ravvisare un reato di violenza carnale su minore) nei confronti delle signore Bianchi poi archiviato poiché le medesime non avevano più domandato il riconoscimento di paternità.
Il sig. Rossi in seguito si era sposato con altra donna dalla quale ha avuto un figlio chiamato (sempre con nome di fantasia) sig. Pino Rossi.
Il precedente legale al quale si era rivolta la signora Bianchi aveva inviato una lettera raccomandata poi lasciata cadere nel nulla dal sig. Rossi, ma poiché l’azione di riconoscimento di paternità è imprescrittibile ne abbiamo mandato una nuova e poi abbiamo istaurato il giudizio innanzi al Tribunale competente chiedendo al giudice disporsi il test del DNA sul cadavere del defunto (presunto) padre.
Si costituiva in giudizio il sig. Rossi assistito da un collega civilista e da un noto penalista (di cui inizialmente non capivamo la necessità) opponendosi alla richiesta Consulenza Tecnica d’Ufficio e sostenendo che non sarebbe stato più possibile eseguire il test del DNA in quanto nel frattempo in corso di causa aveva fatto cremare sia il padre che la madre.
Cosicché oltre all’azione civile il sig. Rossi è stato denunciato anche per frode processuale per aver mutato lo stato delle prove del processo.
Non solo ma il suo intento fraudolento si è rivelato inutile in quanto il Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal Tribunale ha reperito dei campioni biologici ed organici conservati presso l’AUSL in quanto il sig. Rossi in vita aveva subito un intervento per una malattia cancerogena per la quale era ancora conservato un frammento per la biopsia.